1 euro a famiglia per aiutare migliaia di nuclei familiari messi in ginocchio dalle conseguenze economiche della pandemia di Covid-19: è l’iniziativa lanciata dalla Fondazione Forum Famiglie con una campagna web e social e un videoclip cui presta la voce e il volto la popolare attrice Beatrice Fazi.
La proposta prende il via dalla lettera aperta di un’operatrice sanitaria, che metteva a disposizione il compenso extra ricevuto per l’assistenza ai pazienti Covid con il fine di aiutare una o più famiglie in sofferenza economica temporanea. A questo messaggio, nel tempo, si sono aggiunte altre famiglie disposte a fornire un sostegno economico a nuclei in difficoltà. Da questo slancio nasce il Fondo Famiglie, un contenitore grazie al quale la Fondazione potrà raccogliere le donazioni dei benefattori, incrociandole con le richieste di aiuto.
#1euroafamiglia è una campagna nazionale di solidarietà inter-familiare che ha l’obiettivo di valorizzare il protagonismo delle famiglie italiane e la sussidiarietà orizzontale, in un momento delicato e difficile per tante mamme e papà che, prima della crisi generata dal coronavirus, riuscivano a mantenere i loro figli, a pagare le rate del mutuo, a onorare l’affitto mensile. Ma che negli ultimi mesi sono sprofondati sotto i colpi dei lockdown e delle restrizioni anti-contagio, perdendo in molti casi il lavoro e, con esso, tutte le certezze sul futuro.
Attraverso l’impegno minimo di un euro al mese, per un anno o un altro periodo a scelta di chi aderisce, si potrà dare risposta a migliaia di persone che vivono sulla loro pelle problemi economici di sussistenza mai sperimentati prima, dopo aver dato fondo a tutti i risparmi accumulati. #1euroafamiglia non si ferma all’aiuto economico, ma – attraverso una rete di consulenti familiari e associazioni specializzate – offre a chi ne avrà bisogno servizi di counseling per varie necessità familiari. Insomma: non solo soldi, ma una vera e propria rete di famiglie per le famiglie in grado di sostenersi a vicenda.
«Con #1euroafamiglia – spiega Gigi De Palo, presidente nazionale della Fondazione Forum Famiglie – abbiamo pensato di creare una sorta di “vaccino” contro le conseguenze economiche più gravi del Covid-19. Uno strumento concreto, di facile accesso e di rapida applicazione in grado di proteggere per un tempo congruo quei nuclei familiari, spesso con figli, che prima della pandemia riuscivano ad arrivare a fine mese, ma che oggi non sanno come andare avanti».
Centro dell’iniziativa è il sito web fondofamiglie.org, dove è possibile conoscere i dettagli su come donare e come chiedere aiuto. Accedendo, con pochi clic, ai canali di raccolta delle richieste e/o di disponibilità a diventare benefattori. A chi volesse donare, è richiesto l’impegno minimo di un euro al mese. Ovviamente, con 10, 100 o più euro sarà possibile moltiplicare in modo esponenziale l’effetto-sostegno. Con la garanzia che il 100% dei fondi raccolti verrà utilizzato per aiutare le famiglie in difficoltà.
Per chi si trova in condizioni di precarietà economica, sul sito web è possibile inviare la richiesta di sostegno, accedendo – in modo anonimo – a una rete di consulenza familiare e servizi di supporto. Un’apposita Commissione verificherà la rispondenza dei requisiti della famiglia richiedente, dandole accesso ai benefici del Fondo Famiglie e seguendone la situazione fino alla risoluzione della criticità. La Rete di supporto su cui poggia #1euroafamiglia è costituita da circa 300 consulenti familiari, che fanno riferimento a 596 associazioni, attive da anni sul territorio nazionale e a livello regionale e locale. Anche il Forum Puglia è in prima linea in questa iniziativa.
«Per 6 famiglie italiane su 10 – sottolinea De Palo – la crisi economica generata dalla pandemia è la peggiore di sempre. Rispetto al 2019 sono andati perduti 622 mila posti di lavoro, di cui 344 mila tra le donne. Questo in un Paese in cui la perdita del lavoro è la prima causa di povertà. Di fronte alle molteplici segnalazioni di situazioni problematiche a livello socio-economico e guardando alle previsioni, per la prossima primavera, della crisi nel mercato del lavoro, con conseguenze catastrofiche su centinaia di migliaia di famiglie, abbiamo deciso di non rassegnarci. Abbiamo raccolto l’idea contenuta nella lettera che ci ha inviato la dottoressa, provando a rispondere così al disagio di tanti nuclei familiari. Per cambiare la vita a tante persone, in fondo, basta #1euroafamiglia».
«Non riteniamo di dover ulteriormente intervenire nel dibattito innescato dall’affissione, anche nella città di Andria, di un manifesto antiabortista, fermo restando che ogni forma di censura, da chiunque attuata, contro la libertà di manifestazione del pensiero, è certamente meritevole di biasimo e ogni atto di limitazione di tale libertà non può essere giustificata.
Intendiamo però approfittare dell’attenzione mediatica per ragionare su una questione ben più ampia – e sicuramente più profonda – di un cartellone pubblicitario, che riteniamo non possa essere ridotta a semplici slogan.
Sarebbe infatti auspicabile che, a più di 40 anni dalla sua approvazione, le istituzioni possano garantire l’applicazione integrale della legge 194, a partire dalla sua parte preventiva (articoli 2-5), purtroppo spesso ignorata. Ciò comporta che vengano abbandonate alla loro solitudine donne che chiedono di abortire per le difficoltà a portare a termine la loro gravidanza ma che, se debitamente aiutate, potrebbero realizzare il loro diritto a diventare madri. Sono tanti i problemi che una donna in attesa di un figlio incontra, e la scelta dolorosa di abortire genera spesso drammi che ci si porta dietro tutta la vita. Chi se ne preoccupa?
Le istituzioni, a partire da quelle comunali, devono occuparsi di tutti e non soltanto di una parte.
E allora perché non lavorare insieme per provare a rimuovere le tante cause che possono limitare anche in modo drammatico la libertà di una donna che vuole diventare madre? Perché non vengono messe in atto politiche reali di tutela della maternità anche e soprattutto nei posti di lavoro? Sono infatti molte le donne che abortiscono per tenersi stretto un posto di per sé già traballante, se – come ci dicono gli ultimi dati Istat – su 101mila nuovi disoccupati causati dalla pandemia in atto, 99mila sono donne. Il 98%.
E quante sono in difficoltà per la mancanza stessa di un’occupazione, di disponibilità economica, per una casa troppo piccola, per un partner violento o semplicemente non adeguato?
L’invito è dunque non alla contrapposizione ideologica, ma a un’alleanza tra istituzioni e associazionismo per la tutela delle donne e delle madri e per una concreta promozione dell’educazione dell’affettività e della sessualità di giovani e adulti».
Forum delle Associazioni Familiari Bat – Antonio Gorgoglione
Dopo
l’audizione dei giorni scorsi in Commissione del Consiglio Regionale con
l’assessore al Diritto allo Studio Sebastiano Leo, come Forum delle
Associazioni familiari di Puglia siamo a chiedere interventi urgenti e
non più procrastinabili per la ripresa in sicurezza delle attività
scolastiche.
Non
è più accettabile che la responsabilità nella scelta tra la didattica in
presenza e quella integrata a distanza, ribadita in tutte le ultime ordinanze del
Governatore Michele Emiliano, sia affidata alle famiglie. I genitori –
il cui fondamentale ruolo educativo è reso ancor più gravoso dall’emergenza
pandemica – non conoscono i dati sui contagi né possono fare valutazioni
precise in merito all’opportunità di far andare i propri figli a scuola. Eppure
si sono ritrovati a prendere decisioni che riteniamo debbano essere appannaggio
della politica.
L’Associazione
Nazionale Presidi (ANP) ha effettuato un’indagine su un campione di 150 istituti
pugliesi, dalla quale è emerso che, dal 7 gennaio le presenze nelle scuole primarie
e secondarie di primo grado sono raddoppiate rispetto al periodo precedente. È
segno che le famiglie vogliono un rientro in classe, ma lo vogliono in
sicurezza. Sicurezza che il Governo di questa Regione avrebbe dovuto garantire
già da settembre, a maggior ragione ora.
Per
questo, al netto della necessità di avere dati certi e trasparenti sui
contagi legati ai rientri a scuola, ci permettiamo di formulare alcune
ulteriori proposte:
Attivare delle task-force fuori dalle scuole, magari impiegando i cittadini che percepiscono il ReD o il Reddito di Cittadinanza per vigilare e prevenire eventuali situazioni di contagio;
Prevedere nel minor tempo possibile una campagna vaccinale per dirigenti, insegnanti e operatori scolastici;
Attuare uno screening periodico diffuso con tamponi rapidi;
Potenziare in maniera significativa i trasporti scolastici, affinché gli studenti che si spostano in altre città possano viaggiare in assoluta sicurezza.
Auspichiamo
che tali proposte vengano prese in considerazione, per alleviare il peso che
oggi grava sulle spalle delle madri e dei padri pugliesi. Peso e responsabilità
che la politica regionale dovrebbe avere il coraggio di prendere su di sé,
com’è giusto che sia.
Confcooperative Federsolidarietà Puglia, Lega coop sociali Puglia, Fism Puglia, Forum Terzo Settore e Associazione Acsemi denunciano una situazione ormai insostenibile per tutti i servizi educativi per i minori della Regione Puglia.
«L’assessorato al Welfare, settore servizi minori e famiglie, appare inequivocabilmente responsabile del ritardo nell’applicazione dell’azione 8.6 del FSE 14/20 e tutto il sistema è costretto a chiudere – si legge in un comunicato stampa congiunto -. Sono 500 le strutture educative per minori che accolgono 10mila bambini e occupano oltre 5mila persone, per il 95% donne, che stanno accogliendo i minori già dal 1° settembre così come previsto dall’avviso rivolto alle famiglie, ma non possono fatturare le loro prestazioni per i ritardi regionali. Dal prossimo mese di febbraio, tutti i Servizi saranno costretti a richiedere alle famiglie il pagamento dell’intera retta; ciò comporterà verosimilmente la rinuncia alla frequenza dei propri figli con la conseguenza di dover chiudere.
Siamo consapevoli – prosegue il comunicato – che è necessario il controllo rigoroso dell’ufficio al Welfare per qualificare i servizi rivolti alle famiglie, ma i tempi dei procedimenti amministrativi previsti dalla Legge e dagli stessi provvedimenti regionali devono essere rispettati. L’ufficio al Welfare non può considerarsi esente da responsabilità, anche gravi, visti i ritardi amministrativi accumulati. Invitiamo caldamente la Regione al rispetto dei termini, già ampiamenti scaduti da mesi, e chiediamo il riconoscimento di indennità alle strutture in sofferenza che consenta, a stretto giro, di pagare lo stipendio a migliaia di operatori. Sono 30 milioni di euro i fondi europei assegnati per l’anno educativo 2020/2021 alle famiglie per garantire un accesso a servizi estremamente costosi, a cui dovranno essere aggiunti almeno altri 20 milioni.
Al Presidente Emiliano, che ha trattenuto a sé la delega fino a oggi, e al nuovo Assessore Rosa Barone, chiediamo di intervenire per risolvere già nei prossimi giorni e senza ulteriori indugi la questione, nonché di assegnare altrettanto immediatamente agli Ambiti le ulteriori risorse necessarie, affinché non siano sempre i lavoratori privati e le famiglie a pagare per gli ingiustificati ritardi della Pubblica Amministrazione».
Francia e Gran Bretagna, con situazioni di contagio nettamente peggiori rispetto alle nostre, chiudono tutto tranne le scuole. In Puglia si fa esattamente il contrario, penalizzando migliaia di studenti e di famiglie per porre un argine tardivo alle inadempienze del Governo regionale.
Nell’estate appena trascorsa, mentre si aprivano i confini ai turisti e si impegnavano energie e risorse in campagna elettorale, poco o nulla è stato fatto per garantire condizioni sicure di trasporto ai tantissimi ragazzi che viaggiano per raggiungere le proprie scuole. Eppure i dirigenti scolastici hanno compilato monitoraggi periodici e dettagliati, dando alla Regione Puglia tutto il tempo di prendere i necessari provvedimenti, potenziando le infrastrutture.
Allo stesso modo, dato il fisiologico aumento dei contagi collegato alla riapertura, si sarebbe dovuto prevedere un rafforzamento del sistema sanitario regionale, magari con unità mobili fuori dalle scuole per effettuare rapidamente i tamponi ed evitare anche il sovraccarico di lavoro per pediatri e medici di famiglia. Invece no, si chiudono i cancelli delle scuole dopo un solo mese di lezioni, perché qualcosa, a monte, non ha funzionato. E la colpa non è certo dei presidi e dei docenti, men che meno degli studenti. Quello della Regione Puglia è stato un grave errore di prospettiva.
Le scuole sono luoghi nei quali si rispettano regole e sono applicati protocolli rigidi. Ora nel tempo libero questi bambini e questi ragazzi, poiché nessun lockdown impedisce loro gli spostamenti, si incontreranno nei parchi, nelle piazze e per le strade, con il rischio reale di un peggioramento della situazione.
Nel frattempo, la responsabilità di gestire i figli nella didattica a distanza ricade inevitabilmente sui genitori. Su quelli che “si possono permettere” lo smart working, già di per sé non poco faticoso, e quelli che invece sono ancora tenuti a recarsi in ufficio, in fabbrica, in ospedale, nelle attività commerciali regolarmente aperte. È un peso ulteriore che le famiglie pugliesi non possono permettersi di portare ancora a lungo, già stanche e stremate psicologicamente ed economicamente.
Non sarà più necessario l’obbligo della prescrizione medica per dispensare anche alle minorenni ulipistral acetato (EllaOne), il farmaco utilizzato per la contraccezione di emergenza fino a cinque giorni dopo il rapporto. Lo ha stabilito l’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) con la Determina n. 998 dello scorso 8 ottobre.
«Una scelta superficiale e irresponsabile. Quest’autorizzazione è un’umiliazione per le donne: solo chi non ha mai vissuto sulla propria pelle la pesantezza di una scelta tanto delicata, fatta in preda al panico e alla paura delle conseguenze, può consentire una tale azione»: così la vicepresidente nazionale del Forum delle associazioni familiari e responsabile del progetto “Donne per le donne”, Emma Ciccarelli, ha commentato la determina Aifa con cui cessae l’obbligo di prescrizione della cosiddetta “pillola dei 5 giorni dopo” per le minorenni.
«La donna conosce le criticità e la drammaticità di una scelta così estrema, che lascia per tutta la vita ferite indelebili nel corpo e nell’anima. Non basta avvertire nel bugiardino che “non è un farmaco da utilizzare regolarmente” se poi le ragazze – minori e dunque, per la legge italiana, non in piena facoltà d’intendere e volere – vengono lasciate sole a se stesse. Questa non è libertà: è scaricare ancora una volta sulle donne, specie in una fase assai delicata qual è l’adolescenza, una responsabilità di tale portata. La libertà di accesso a questo farmaco per le minorenni equivale a mettere nelle loro mani un oggetto pericoloso e poi lavarsene le mani, favorire la deresponsabilizzazione a buon mercato, banalizzare la sessualità oltre che abdicare al compito educativo di noi adulti», conclude Ciccarelli.