Letto con attenzione il ddl approvato dalla Giunta Emiliano, il Forum delle associazioni familiari si pone alcune domande. C’è forse qualcuno che è più uguale degli altri, direbbe Orwell?
Caro presidente Michele Emiliano,
abbiamo letto con attenzione il disegno di legge approvato dalla Giunta regionale “contro le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere”, rispetto alle cui intenzioni nessuno può dirsi contrario.
Anzi. Il Forum da sempre è in prima linea per combattere contro tutte le discriminazioni. A cominciare da quelle nei confronti dei disabili, spesso privati del sostegno necessario per portare avanti il percorso scolastico, e che dopo i 18 anni praticamente scompaiono dalla vita civile per le difficoltà che le famiglie incontrano. Ma potremmo parlare dei senza fissa dimora; dei migranti; delle donne oggetto di violenza e vittime della tratta di esseri umani; delle coppie che vogliono mettere al mondo dei figli e non lo possono fare per motivi economici, di solitudine, di paura, di stabilità; dei giovani che se ne vanno dalla Puglia per mancanza di lavoro; e di tutti coloro che oggi costituiscono lo “scarto” della società.
Ogni atto di violenza o discriminazione è da condannare e contrastare; ma perché la Regione si pone il problema di farlo solo se agito contro la persona omosessuale o transessuale? Cosa impedisce al Governo regionale di proporre un’azione coordinata contro ogni forma di discriminazione?
Tra l’altro, il Global attitudes survey on LGBTI 2016, indagine dell’Ilga (International lesbian and gay association), effettuata in oltre 50 Stati, dimostra che l’Italia (su 12 Paesi europei considerati) figura fra quelli i cui cittadini manifestano maggiore apertura mentale e inclusività nei confronti degli omosessuali. Ciò e dimostrato anche dall’Oscad (l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori) del Ministero dell’Interno, che monitora le segnalazioni di presunti reati a sfondo discriminatorio, i cui dati non disegnano certo lo scenario di un’Italia omofoba. Basti pensare che, nei suoi primi tre anni di attività, sono pervenute all’Osservatorio solo 83 segnalazioni di discriminazioni basate sull’orientamento sessuale da tutta Italia.
E allora? Ci sarà omofobia nelle scuole pugliesi? Vediamo… Una ricerca-azione condotta su ragazze e ragazzi in otto scuole secondarie inferiori e superiori baresi, svolta da esperti dell’Università di Bari nel corso dell’anno scolastico 2016-2017, nel contesto di un progetto di educazione al rispetto delle differenze finanziato dall’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali), ha messo in evidenza l’assenza di atteggiamenti e mentalità omofobici fra i ragazzi baresi che hanno partecipato allo studio e la loro tendenza ad assimilare credenze e comportamenti vissuti in famiglia, evidentemente non discriminatori.
Il testo del Disegno di legge impegna la Regione a “promuovere, organizzare e sostenere attività di formazione e aggiornamento per gli insegnanti e il personale scolastico delle scuole di ogni ordine e grado del sistema di istruzione e di formazione professionale, in materia di contrasto degli stereotipi di genere e di prevenzione del bullismo motivato dall’orientamento sessuale, dall’identità di genere o da una condizione intersessuale”.
Si tratta di materia delicatissima, che non può essere affidata solo alla scuola, ma deve vedere i genitori protagonisti nell’agire la loro primaria responsabilità educativa, riconosciuta dalla Costituzione e ratificata dalla legge 107 sulla “Buona scuola” e dai relativi provvedimenti attuativi ministeriali, che riconoscono nella stretta collaborazione fra istituzione e famiglia la strada maestra per l’educazione delle nuove generazioni. ll patto di corresponsabilità educativa e il consenso informato dei genitori sono gli strumenti cardine per la costruzione di un’alleanza virtuosa. In più punti del recente Piano nazionale per l’educazione al rispetto e contro ogni forma di violenza e discriminazione del Miur viene ribadita proprio la priorità educativa dei genitori. Pertanto, nessuna “formazione” o indottrinamento dei docenti può pensare di bypassare la libertà di educare e accompagnare i figli alla scoperta della loro affettività e sessualità.
Gli articolo 3 e 5 prevedono inoltre che la Regione promuova la formazione su questi temi di genitori e studenti, nonché di operatrici e operatori dei servizi socio-sanitari e socio-assistenziali, valorizzando in questo caso esperienze e competenze maturate dalle organizzazioni operanti nell’ambito del contrasto alle forme di discriminazione e di violenza delle persone Lgbti. Basta questo per assicurare la validità di un intervento? O forse è necessario avvalersi dell’apporto di contributi scientifici qualificati, di letteratura non di parte, in grado di leggere i fenomeni in profondità e senza occhiali di nessun colore? Non è forse necessario assicurare, a maggior ragione negli interventi formativi, quel pluralismo culturale che garantisce la libertà di tutti?
Molto ambiguo è infine l’articolo 8. Esso prevede infatti che il Corecom effettui una rilevazione sui contenuti della programmazione televisiva e radiofonica e dei messaggi pubblicitari eventualmente discriminatori. Inoltre, è chiamato a garantire adeguati spazi di informazione e di espressione in ordine alla trattazione delle tematiche dettate dalla proposta di legge. Ci sembra che venga così introdotta una nuova forma di censura che limita la libertà di stampa, di espressione, di linguaggio e di opinione.
E’ urgente piuttosto lavorare insieme per una nuova cultura della persona , dell’affettività e della sessualità, del maschile e del femminile che, leggendo in profondità le grandi contraddizioni culturali e sociali di questa nostra epoca, possa accettare la rinnovata sfida antropologica ed educativa che ci interpella tutti.