di Francesco Belletti, presidente nazionale
La consueta prolusione del Card. Bagnasco in apertura del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana, caratterizzata come sempre del suo personale stile, ma anche esito della collegialità dei vescovi, è sempre un’occasione importante di confronto sullo stato di salute materiale e spirituale non solo della comunità cristiana, ma anche del Paese nel suo complesso. Sempre, nelle parole del presidente della Cei, si ritrova un respiro ampio, attento al bene comune del nostro popolo, ma anche capace di farci alzare lo sguardo oltre i ristretti confini, ad intercettare le grandi tensioni e i grandi venti di rinnovamento e di sfida che il mondo propone anche a ciascuno di noi.

È potente, infatti, la conclusione, che riprendendo le parole di Papa Francesco rivolge un nobile richiamo all’Europa perché non sia un progetto “che ruota intorno all’economia, ma intorno alla sacralità della persona umana, dei valori inalienabili…”. Ma ancora più radicale è il “rivolgere il pensiero a tanti fratelli e sorelle che soffrono e muoiono perché sono cristiani: … lasciamo che il sangue dei martiri arrivi fino a noi, da qualunque regione della terra parta”. Si tratta di un vibrante richiamo alla Chiesa e alla società italiana perché non dimentichi che siamo cittadini del mondo, e ne assuma le sofferenze e le potenzialità., anziché rinchiudersi a protezione del proprio orticello.

Analogamente, anche la decisa condanna del “fondamentalismo islamico, nelle forme recenti e nelle recenti raccapriccianti aberrazioni”, diventa occasione di un ulteriore richiamo al mondo occidentale e alla nostra Europa, che “ha svuotato la coscienza collettiva di valori spirituali e morali soffocandoli di cose, ma non di bene, di verità e di bellezza”, così che diventa possibile che “un certo islamismo fondamentalista riempie il vuoto nichilista dell’Occidente”. Occorre quindi ripartire dai valori, per costruire una cultura di pace e per sconfiggere ogni incubo di terrorismo o di dittatura violenta.

Lo sguardo dei vescovi italiani non dimentica, comunque, la concretezza delle perduranti sofferenze delle famiglie di fronte alla grave crisi economica: non bastano gli annunci di uscita dalla crisi, perché “noi vediamo che la lama del disagio continua a tormentare moltissime famiglie che non arrivano da tempo alla fine del mese; anziani che attendono le loro magre pensioni mangiando pane e solitudine; giovani che hanno paura per il loro futuro incerto, e che bussano – non di rado sfiduciati – alle porte del lavoro; adulti che il lavoro lo hanno perso e che hanno famiglia da mantenere e impegni da onorare. Su tutto si staglia l’urgenza che, più di tutte, s’impone: il lavoro e l’occupazione. Con rispetto e forte convinzione, consapevoli del nostro dovere di Pastori, chiediamo ai responsabili della cosa pubblica di pensare a questo prima di ogni altra cosa, che – pur necessaria o opportuna – è sentita dalla gente come lontana dai suoi problemi quotidiani”. Difficile descrivere meglio una priorità assoluta di bene comune, per custodire questa concretezza di bisogni della vita quotidiana della persone e delle famiglie, tuttora pesantemente disattesa.

Ma questa attenzione alle povertà materiali non significa dimenticare il rischio di quelle che lo stesso Papa Francesco chiama le “nuove colonizzazioni ideologiche… che cercano di distruggere la famiglia”, una preoccupazione che, ricorda il card. Bagnasco, ha segnato anche i lavori del recente Sinodo sulla famiglia, dove “la sfida antropologica è risuonata dai cinque continenti nell’ultimo Sinodo: in qualunque società e cultura lo tsunami occidentale vuole sfondare le porte di popoli e nazioni”. Non una questione giuridica, non una discussione accademica sulle definizioni, ma una vera e propria emergenza, ben dettagliata nella Prolusione, attraverso un crescendo di precisi aspetti antropologici e valoriali messi oggi in discussione, anzi, sotto attacco, che meritano di essere riportati nel dettaglio: “La persona, anziché in relazione con gli altri, è allora concepita come individuo sciolto da legami etici e sociali, perché l’unica cosa che conta diventa la libertà individuale assoluta. Si dice famiglia, ma si pensa a qualunque nucleo affettivo a prescindere dal matrimonio – che ne riconosce in modo impegnativo la pubblica valenza – e dai due generi. Si parla dei figli come se fossero un diritto degli adulti e un oggetto da produrre in laboratorio, anziché un dono da accogliere. In Europa si vuole far dichiarare l’aborto come un diritto fondamentale così da impedire l’obiezione di coscienza, e si spinge perché sia riconosciuto il cosiddetto aborto “post partum”! Si afferma la qualità della vita, ma la si concepisce come efficienza e produzione, anziché come rete di relazioni di giustizia e di solidarietà. Si discute sulla malattia e sulla morte come qualcosa che deve essere a nostra disposizione, e non invece nella prospettiva per cui la salute di ogni cittadino interessa il bene comune. Insomma, si ricerca la garanzia dei diritti individuali, ma si dimentica la serie dei corrispettivi doveri sociali, senza dei quali una realtà comunitaria non sta in piedi. Per questo, se la famiglia è il baricentro esistenziale da preservare, l’impegno nella vita sociale è aspetto irrinunciabile della presenza dei cattolici nel nostro Paese”.

In questo ambito risuona particolarmente urgente l’esplicito riferimento che la Prolusione fa a recenti e controversi progetti proposti nelle scuole italiane sull’identità di genere, laddove si chiede :”I libri dell’Istituto A.T. Beck, dal titolo accattivante “Educare alla diversità a scuola” e ispirati alla teoria del gender, sono veramente scomparsi dalle scuole italiane? Educare al rispetto di tutti è doveroso, e la scuola lo ha sempre fatto grazie al buon senso e alla retta coscienza dei docenti, ma qui siamo di fronte a un’altra cosa: si vuole colonizzare le menti dei bambini e dei ragazzi con una visione antropologica distorta e senza aver prima chiesto e ottenuto l’esplicita autorizzazione dei genitori. Non è inutile ricordare che – anche se la maggior parte dei genitori fosse d’accordo – chi non lo è ha il diritto di astenere i propri figli da quelle “lezioni” senza incorrere in nessuna forma, né esplicita né subdola, di ritorsione, come sta invece accadendo in qualche Stato vicino a noi. L’educazione della gioventù è talmente delicata e preziosa che non ammette ricatti o baratti di nessun tipo e in nessuna sede. Noi vescovi su questo saremo sempre in prima linea a qualunque costo, così come sul fronte della giustizia, dei poveri e dello stato sociale”.

Quindi una Prolusione che indica priorità importanti, e che certamente non nasconde le varie criticità del tempo presente, che spesso sembrano impedire la speranza. Eppure le parole del card. Bagnasco aprono il cuore, proprio perché chiamano tutti i credenti e gli uomini e le donne di buona volontà ad un rinnovato impegno di testimonianza di bene comune, fino a ricordare, ad esempio nello specifico della destinazione dei risparmi, che “la politica …non è l’unica via per perseguire il bene comune. La prima via è per tutti: fare con onestà, sacrifico e competenza il proprio dovere di lavoratore e di cittadino… ad esempio investire i propri onesti capitali… non si tratta di fare oboli a nessuno, ma dimettere in gioco se stessi e qualcos’altro”. Insomma, anche rispettando le regole dell’economia, ma con una responsabilità consapevole di poter e voler costruire, con il proprio impegno quotidiano, il bene di tutti. E questo ognuno di noi può e deve farlo oggi, da subito, con un’attenzione amorevole alle persone che ci sono più prossime, ma anche a chi soffre nelle più lontane periferie. Come ricorda la Prolusione: “Il Paese non deve cedere alla sfiducia. Il popolo degli onesti – che è un grande popolo – non deve lasciarsi demoralizzare. Mai!”. Di fronte a questo invito, non possiamo tirarci indietro.

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