Sono molte e variegate le proposte pervenute dalle associazioni relative all’ampio tema del Lavoro. Tutte concorreranno alla redazione del Piano regionale di Politiche familiari.

A tal proposito, abbiamo chiesto un commento al professor Alessandro Rosina, ordinario di Demografia all’Università Cattolica di Milano, che di questa macroarea è il coordinatore scientifico.

Il quadro generale, a suo dire, non è affatto roseo. «Il Sud Italia presenta una delle combinazioni peggiori in Europa di bassa occupazione giovanile, bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro, bassa fecondità», ma le soluzioni al problema esistono e sono attuabili.

Secondo Rosina, «vanno in particolare favorite misure solide, in relazione sistemica con altre, in grado di mettere in relazione positiva le condizioni lavorative dei giovani con la possibilità di formare una propria famiglia (ovvero condizioni che favoriscano un’occupazione coerente e abilitante rispetto alle scelte familiari), e di mettere in relazione la possibilità di occupazione femminile con la piena realizzazione in ambito familiare. Mettendo al centro le persone, le loro scelte, il valore individuale e collettivo che tali scelte possono produrre, la possibilità che tali scelte positive (autonomia dei giovani, formazione di nuovi nuclei, nascita dei figli, occupazione) possano rafforzarsi vicendevolmente e non entrare in collisione».

Per quanto riguarda le proposte pervenute riguardo l’occupazione femminile, «la conciliazione ha come pilastro centrale i servizi per l’infanzia, ma sempre di più anche quelli per gli anziani (e ovviamente disabili in generale).

Potenziamento della copertura sul territorio e qualificazione degli esistenti devono entrare in un piano di azione con impegni concreti, monitorati ogni anno.

È assolutamente condivisibile il fatto che questo potenziamento debba collocarsi all’interno della riforma dei sistemi di educazione e istruzione 0-6 (Decreto legislativo n. 65 del 13 aprile 2017, approvati in GU n.112 del 16-5-2017). Questo porta alla necessità di sviluppare una strategia di integrazione tra Nidi e Scuole d’infanzia.

Altri punti di lavoro rilevanti riguardano la necessità di fornire risposte raggiungibili e quindi fruibili su tutto il territorio; la sperimentazione di forme flessibili di risposta alle esigenze delle famiglie (oltre l’offerta pubblica, ma con garanzia di qualità educativa adeguata); lo sviluppo di un’offerta per chi frequenta le scuole primarie (in particolare per coprire l’orario non scolastico e i periodi di chiusura).

È inoltre condivisibile l’esigenza di promuovere la cultura della conciliazione e delle pari opportunità riconoscendo le aziende virtuose (che favoriscono part time reversibile, congedi paternità…) e prevedendo condizioni premianti».

Nell’ambito della formazione professionale, «per migliorare la transizione scuola-lavoro il punto di partenza fondamentale è l’orientamento. Serve una maggiore sinergia tra scuola e servizi per l’impiego, che renda più informati e consapevoli i ragazzi sulle scelte formative e sulle opportunità del mondo del lavoro. Una collaborazione che fornisca, inoltre, informazioni sugli strumenti disponibili e incentivi anche i programmi di rafforzamento delle life skills (intraprendenza, creatività, apprendere ad apprendere, intelligenza emotiva…) assieme a competenze avanzate.

La transizione scuola-lavoro va, del resto, intesa soprattutto come transizione imparare-fare, che per realizzarsi con successo ha bisogno di dosi commisurate (anche personalizzate in vari casi) di “fare” nel percorso formativo e di “imparare” in quello occupazionale. Anzi, il primo obiettivo formativo per un giovane dovrebbe essere quello di portarlo a riconoscere l’importanza di alimentare continuamente e attivamente il circuito virtuoso di imparare e fare, come impalcatura per la realizzazione dei propri progetti di vita e professionali. Informarsi e cercare esperienze in grado di rafforzare, oltre le mura scolastiche, le proprie competenze trasversali è ciò che più risulta protettivo verso il rischio di diventare Neet. La preparazione delle nuove generazioni deve guardare sia alle competenze spendibili oggi sia al cambiamento del mondo del lavoro.

In questa direzione sono condivisibili le proposte di procedere verso una programmazione integrata sul territorio di tutta a formazione, in modo da rendere efficiente e mirata l’offerta erogata dal sistema regionale in relazione al sistema statale.

Rafforzare e valorizzare l’istruzione e formazione professione (IeFP) e la filiera degli Istituti Tecnici Superiori (ITS), anche attraverso adeguata informazione e pubblicizzazione».

Rosina sottolinea inoltre «l’importanza di predisporre un sistema di monitoraggio e valutazione che consenta di verificare i risultati e la corrispondenza tra professionalità richieste, competenze formate e domanda effettiva sul territorio».

Infine, sull’ingresso dei ragazzi nel mondo del lavoro, il professore è convinto che l’approccio più promettente sia «quello finalizzato a rafforzare i giovani contestualmente rispetto a occupabilità, progettualità, intraprendenza e senso di appartenenza sociale. Sono questi tutti aspetti che le ricerche evidenziano essere legati alla protezione dal rischio di rimanere intrappolati nella condizione di Neet e di alimentare un circolo vizioso di scoraggiamento, esclusione sociale, sfiducia nelle istituzioni, avvitamento senza prospettive sul presente.

Non si tratta quindi di togliere il Neet dalla condizione di inattività trovando il modo di “far qualcosa”. Ciò può dar sollievo nel brevissimo periodo ma può poi creare frustrazione se tale attività non consente di entrare in un vero percorso di miglioramento attivo della propria condizione. Particolare attenzione va quindi posta nel coinvolgere i giovani non come soggetti svantaggiati, ma riconoscerne specifiche capacità e attitudini, mettendoli nelle condizioni di produrre valore.

Le proposte per chi è fuori dal percorso formativo devono essere in grado di intercettare chi è ai margini o svolge attività nel sommerso, ma anche essere appetibili e immettere in un percorso di valore.

Cruciale è il potenziamento del sistema duale (promozione dell’apprendistato con “incentivi alle aziende che consolidano il rapporto di lavoro alla fine dell’apprendistato”).

Un punto finale di rilievo è anche la necessità di migliorare l’informazione sulle misure, gli strumenti e i programmi già esistenti e potenziarne l’effettiva accessibilità», conclude il professor Rosina.

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