Il 2019 si è chiuso con la pubblicazione dei dati dell’Annuario Statistico italiano, che ha messo in evidenza, in particolare, il continuo calo della natalità nazionale e regionale, con le sue ricadute in termini di sostenibilità del welfare e di ripresa economica in forte rischio, visto il progressivo restringersi della base produttiva, che – si calcola – si ridurrà di circa un milione di unità nel giro di un decennio.
In Puglia, ad esempio, i bambini nati nel 2018 i bambini sono stati meno di 29mila. Nel corso del decennio 2008-2018 le nascite sono calate di oltre 9mila unità. Sono aumentati invece di circa 4.600 unità i morti, raggiungendo quota 39mila nel 2018. Va da sé che il saldo naturale (nati meno morti) è negativo già da tempo (2011-2012), e la forbice continua ad allargarsi. Aggiungendo a questi dati anche l’intenso flusso migratorio – sono 12mila i pugliesi andati altrove nel 2018 – la popolazione è diminuita di circa 40mila abitanti tra il 2015 e il 2018.
Altro trend importante che i dati Istat mostrano è l’aumento del numero dei nuclei familiari italiani, caratterizzati però da dimensioni sempre più contenute, fino ad avere un numero di nuclei composti da una sola persona giunti ormai al 33% del totale, praticamente identico a quello delle famiglie con figli (33.2%). Si tratta di due indicatori che, se messi insieme, dicono molto dei mali del nostro Paese, specialmente del nostro Sud.
Al netto delle grandi modificazioni socio-culturali degli ultimi decenni, comuni a tutti gli Stati occidentali, è importante distinguere fra scelte personali circa il modo di vivere, il desiderio di impegnarsi nelle relazioni affettive e di mettere al mondo dei figli; e pseudo-scelte imposte dal contesto in cui vivono i nostri giovani. Gli studi mettono infatti in evidenza che il desiderio di figli dei giovani ventenni italiani non è differente da quello espresso dai loro coetanei francesi. Ma, a trent’anni, gli stessi ragazzi in Francia hanno già messo in atto gran parte dei loro propositi; in Italia invece o non hanno proprio messo mano al loro progetto familiare e riproduttivo, o vi hanno rinunciato, non ritenendo di riuscire a maturare le condizioni per realizzarlo.
In particolare, come dice il professor Alessandro Rosina, «quello che caratterizza il nostro paese è – all’interno del mondo che cambia – la carenza di strumenti di policy in grado di sostenere le scelte individualmente desiderate, come costruire una famiglia ed avere dei figli, che hanno ricadute positive sullo sviluppo economico e sulla sostenibilità sociale. Promuovere le condizioni di autonomia e di lavoro dei giovani e delle donne – mettendoli non solo nelle condizioni di realizzare le scelte professionali, ma anche di integrarle al rialzo con i progetti di vita e familiari – è la strada maestra per le società moderne avanzate che vogliono continuare a essere vitali. L’alternativa – attualmente lo scenario più plausibile per l’Italia – è trovarsi sempre più a essere un Paese che invecchia e che, oltre agli anziani soli e a chi è single per scelta, vincola nella condizione di famiglia unipersonale anche chi avrebbe desiderato formare una famiglia più ricca e articolata».
L’Italia non è un Paese per giovani, dunque. E neanche la Puglia lo è, visto che la fascia 0-14 anni era al 13,1% nel 2018, contro il 22% degli over 65 (erano rispettivamente il 15,3% e il 18% nel 2008). Valori che tenderanno a peggiorare abbastanza rapidamente nei prossimi anni, se non si inverte già da ora il trend. Nel 2025, in base alle proiezioni più recenti dell’Istat, gli over 65 saranno poco più del doppio dei ragazzi a causa sia della minore natalità, sia dalla maggiore speranza di vita delle persone.
Insomma, una nazione come la nostra, caratterizzata da elevato debito pubblico e da ingravescente invecchiamento della popolazione, non può permettersi il lusso di non investire sulle nuove generazioni, del cui contributo qualificato ha invece assoluta necessità. È tutta la comunità che beneficia della possibilità che la transizione alla vita adulta si compia con successo, consentendo alle nuove generazioni di realizzare i propri obiettivi professionali e i propri progetti di vita. Se chi si affaccia alla vita adulta non trova lavoro, non forma una famiglia, non ha figli, progressivamente è tutta la società che si impoverisce e implode.
I dati ci dicono invece che abbiamo una delle percentuali più elevate in Europa di dispersione scolastica, oltre che una delle percentuali più basse di chi arriva a laurearsi. A parità di livello di istruzione, più deboli risultano le competenze di base e avanzate (come evidenziato anche nel recente Rapporto “Pisa” 2018 dell’Ocse). Queste fragilità formative, assieme alla carenza di servizi efficienti di riqualificazione e di incontro tra domanda e offerta, stanno alla base anche del record italiano di “Neet”, ovvero di under 35 che non studiano e non lavorano. Al contrario, paradossalmente, chi è ben formato e ha un elevato titolo di studio è a rischio overeducation, ovvero di svolgere un lavoro che richiede livelli più bassi rispetto alla propria preparazione. Per molti di questi ragazzi la scelta è tra rassegnarsi a non dare il meglio di sé o provare a cercare migliori opportunità all’estero.
Per cui oggi il vero problema, specialmente al Sud, non è frenare le immigrazioni di cui, se ben governate, abbiamo invece bisogno; ma affrontare l’urgenza delle continue emigrazioni dei giovani, specialmente se laureati o particolarmente qualificati, verso altre nazioni europee di cui andranno ad alimentare il PIL. Ne abbiamo già persi 800mila in due anni!
Finora siamo partiti dalla fine, ovvero dal garantire benessere e sicurezza delle vecchie generazioni, per poi risalire via via verso i più giovani, a cui destinare ciò che rimaneva come risorse pubbliche. Dobbiamo invece avere il coraggio di invertire l’approccio: partire prioritariamente dall’investimento nella formazione delle nuove generazioni, passando attraverso la promozione del loro ruolo attivo, per arrivare a ottenere anche una demografia più solida, un welfare più sostenibile, un maggior dinamismo economico, che aumenta la ricchezza da redistribuire verso tutti e a favore di una vita di qualità sempre più lunga.
In molte Regioni, Puglia compresa, il 2020 è anno elettorale. Proviamo a valutare programmi e candidati su questi temi e sulle scelte operate o proposte.
Altrimenti il nostro futuro è già scritto. Senza bisogno di oroscopi.