OSSERVAZIONI SUL DDL n°253 DEL 14/11/2017

 PREMESSA

Con riferimento alla elaborazione da parte della Regione Puglia del DDL n. 253 del 14/11/2017, pur non disconoscendo il carattere discriminatorio della mancata applicazione del principio di parità sulla base degli orientamenti sessuali e dell’identità di genere, preme preliminarmente sottolineare che tale discriminazione è una ma non l’unica ipotesi di violazione del suddetto principio di parità. A partire dagli anni 2000, a livello europeo, si è assistito ad una significativa evoluzione di detto principio e di quello delle pari opportunità per tutti, anche in attuazione dell’art. 13 del Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997, che fa riferimento alle “discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali”.

Si assiste così ad un ampliamento della platea dei destinatari dei divieti di discriminazione e ad una dilatazione della nozione stessa di discriminazione.

A fronte di tale panorama, che non può non incidere sull’ordinamento degli Stati membri, appare inopportuna l’approvazione di una legge regionale che si limiti a contrastare e sanzionare solo le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere, discriminando (ci si perdoni il calambour) tutte le altre numerose ed egualmente rilevanti forme di discriminazione, in tal modo violando, oltre che il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, anche quello della imparzialità sancito dall’art. 97 della Carta Costituzionale.

In altre parole, non si vede ad esempio il motivo per cui  gli interventi della Regione previsti dall’art. 1 e 2 in materia di politiche del lavoro, formazione e aggiornamento professionale e integrazione sociale non debbano essere indirizzati anche a favore di altre categorie di persone svantaggiate e discriminate , come ad esempio i disabili, o le donne in età fertile, discriminate rispetto alla possibilità di  mantenere il proprio posto di lavoro a causa di una gravidanza, o gli stessi giovani pugliesi costretti a lasciare la loro terra per cercare altrove una attività lavorativa.

Si segnala pertanto la necessità di approvare una legge di contrasto a tutte le forme di discriminazione individuate dal Trattato di Amsterdam, sul modello della L.R. Piemonte n. 5 del 23/3/2016, denominata “Norme di attuazione del divieto di ogni forma di discriminazione e della parità di trattamento nelle materie di competenza regionale”, al fine di prevenire e contrastare ogni forma di discriminazione, e non soltanto quelle determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere, operando così una scelta qualificante di politica legislativa.

CONSIDERAZIONI TECNICO – GIURIDICHE

Prima di procedere ad un esame del merito del DDL, si ritiene opportuno ricordare le norme sulla potestà legislativa regionale.

Come è noto, a seguito della riforma  del Titolo V della Costituzione, con legge costituzionale n.3/2001, è stata attribuita anche alle  Regioni a statuto ordinario maggiore “autonomia” legislativa. Tale autonomia, però, incontra il limite ben preciso della riserva di legge a favore della potestà legislativa dello Stato per quanto riguarda “la determinazione dei principi fondamentali”.(Art.117 Cost,3° comma).

Anche là dove , ai sensi dell’ art. 116 Cost.,comma 3, vengono attribuite ulteriori forme  e condizioni particolari di autonomia  in relazione ad alcune materie di legislazione esclusiva dello Stato, quali  dell’ art. 117, comma 2, le lettere: l)  limitatamente alla  giustizia  di pace, e le lettere n) norme generali sull’ istruzione, e s) tutela dell’ ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali; la Regione è sottoposta al vincolo di ottemperare ad una precisa procedura, che prevede una apposita intesa tra la Regione interessata  e lo Stato(art.116,comma3).

Lo Stato, sentiti gli Enti locali  e nel rispetto dell’ art.119cost. ( sulla autonomia finanziaria) attribuisce una maggiore autonomia alla Regione con una legge che deve esser approvata dalle Camere  a maggioranza assoluta dei componenti.

Occorre cioè che, ove la Regione voglia esercitare maggiore autonomia legislativa nelle materie elencate nell’ art. 116, debba preventivamente accordarsi con lo Stato.

Al di fuori dei casi espressamente indicati nell’ art.116 Cost., rimane fermo per l’attività legislativa della Regione il limite dei “Principi Fondamentali”, che spettano alla competenza legislativa dello Stato.

Vogliamo ricordare, per completezza di discorso, che i “Principi Fondamentali” sono quelli contemplati nella Carta Costituzionale agli articoli 1-12, quelli contemplati, sempre nella Costituzione, nel TitoloI (rapporti civili), nel TitoloII ( rapporti etico- sociali), nel Titolo III    (rapporti economici), nel Titolo IV( rapporti politici).

Inoltre,quelli fissati dalle cc.dd. leggi “ cornice” e, così come stabilito dalla legge n.131 del 2003, la c.d. legge “La Loggia”,quelli desumibili dalle leggi statali vigenti e da eventuali decreti legislativi ricognitivi dei principi fondamentali desumibili dalle leggi vigenti, al fine di semplificare l’ attività di  valutazione della legittimità della legislazione regionale  nelle materie in esame.

Pertanto, ogni volta che una legge regionale detta delle norme  in difformità dei principi fondamentali previsti da leggi dello Stato o crea delle norme innovative  in merito a quest’ultimi, incorre in palesi vizi di illegittimità costituzionale

Ci sembra questo il caso del ddl 253/2017

Procedendo ad un esame  delle norme  del DDL, non si può che constatare che  presentano un quadro normativo palesemente illegittimo.

Infatti, i vari articoli del DDL  violano diverse norme costituzionali e diverse leggi statali, contenenti i c.d. “principi fondamentali”.

Riportiamo, qui di seguito, alcuni esempi:

Il dettato dell’ articolo 3 del DDL in questione( che si occupa di Istruzione) invade il campo della competenza statale, in quanto  dimentica che ,ai sensi dell’ art.137 del DL n.112/98  “restano allo Stato  i compiti e le funzioni concernenti i criteri  e i parametri per l’organizzazione della rete scolastica”.

Inoltre, è in contrasto con il principio fondamentale contenuto nell’art.3 del DPR n.235/2007, che disciplina il c.d. “Patto  di corresponsabilità educativa”, che testualmente così recita;”…è richiesta da parte dei genitori e degli studenti la sottoscrizione di un Patto educativo di corresponsabilità, finalizzato a definire…diritti e doveri nel rapporto tra l’ istituzione scolastica autonoma, studenti e famiglie.

Ai sensi del quale le norme dei commi 1 e 2 dell’art.3 del  DDL non possono essere  estese, così come vorrebbe il DDL anche  nei confronti dei genitori degli studenti.

Occorre ricordare che il principio della non discriminazione è ampiamente contemplato nelle norme del DPR n. 249/1998, che disciplina lo “Statuto delle studentesse  e degli studenti della scuola secondaria”.

Pertanto, la norma del n.3 dell’art.3 del DDL in oggetto non può prevedere ipotesi di attività che esulino da quanto già previsto dai DPR suindicati e da quanto è attribuito all’ autonomia decisionale dei genitori in concerto con gli studenti e i singoli istituti scolastici nell’ attuazione del c.d. “Patto di Corresponsabilità

Ancora in merito all’art.3,  ci preme sottolineare che Il legislatore italiano è sempre stato cosciente della necessità, per l’educazione e la formazione delle giovani generazioni,  di una sistematica e stretta  collaborazione Scuola- Famiglia, entrambe agenzie educative istituzionali, riconosciute e garantite nella Carta Costituzionale, e, sulla base di questo convincimento, è più volte intervenuto con provvedimenti normativi a regolarne i rapporti, fino alla recente riforma della Scuola, disposta con legge n.107/2015.

Per la promozione e  la valorizzazione della partecipazione attiva dei genitori e per agevolare la convergenza educativa tra le varie componenti scolastiche, nel corso degli anni sono stati istituiti appositi organi di rappresentanza e specifici strumenti, come

–  gli OO.CC. della Scuola, nell’ambito dei quali la partecipazione dei genitori è stata regolamentata nel D.L.vo n.416/74, poi confluito nel T.U di legislazione scolastica  n. 297/94;

–  Il FoNAGS (D.M. 14/2002), luogo d’incontro tra il Ministero, l’Amministrazione e le Associazioni dei genitori maggiormente rappresentative, costituito al fine di valorizzare la componente dei genitori nelle scuole e di assicurare una sede stabile di consultazione delle famiglie sulle problematiche scolastiche.

– Il succitato Patto di Corresponsabilità Educativa (DPR 24 giugno 1998, n. 249,modificato dal DPR n. 235 del 21 novembre 2007-art. 5-bis) sottoscritto dai genitori e dal Dirigente Scolastico, all’inizio del percorso scolastico della scuola secondaria, con l’obiettivo di rafforzare il rapporto scuola/famiglia, che nasce da una comune assunzione di responsabilità e impegna entrambe le componenti a condividerne i contenuti e a rispettarne gli impegni.

Il 22 novembre 2012 il MIUR ha inoltre emanato le Linee d’indirizzo “Partecipazione dei genitori e corresponsabilità educativa” trasmesse con la Nota prot. n° 3214/12

Oggi la legge n.107/2015, apre nuovi spazi di protagonismo per la famiglia nella Scuola:

–  coinvolgendo  i genitori nella predisposizione del P.T.O.F., e rendicontando ad essi i risultati ottenuti al termine del ciclo di gestione del Piano. A tal fine Il D.S. , oltre a promuovere i necessari rapporti con gli EE.LL: e con le diverse realtà operanti nel territorio, deve tener conto delle proposte e dei pareri formulati dagli organismi e dalle associazioni dei genitori, (art.1 comma 14 p.5 dell’art1 lg.n.107/2015)

La stessa valutazione del Dirigente Scolastico, secondo la  legge 107,  si baserà anche sulla sua capacità di coinvolgere le famiglie nella redazione del Piano Triennale di Offerta Formativa ( PTOF), (art.1 comma 93  legge n.107); così come la valorizzazione del merito dei docenti  si baserà anche sulla loro capacità di creare alleanze educative con le famiglie degli studenti (Presenza di due genitori nel comitato di valorizzazione  dei docenti, art. 1 comma 129  legge n.107),

Infine, la stessa legge evidenzia e valorizza fra gli standards professionali del docente, la capacità di informare e coinvolgere i genitori come fattore di benessere dello studente

Tutto ciò non fa che declinare sempre più compiutamente  quanto disposto  dall’articolo 30 della Costituzione, che riconosce la prioritaria responsabilità educativa dei genitori nei confronti dei propri figli, stabilendo che “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli,”.

Come questa veloce analisi dei provvedimenti di maggiore rilevanza avrà permesso di notare, nel corso degli anni  “sono stati elaborati nuovi modelli didattico-educativi che hanno permesso alla scuola di reinterpretare le  modalità di attuazione del dettato costituzionale in merito al rapporto scuola/famiglia.

Determinante è stato anche il ruolo dei genitori nella vita scolastica, sia negli istituti statali che paritari, che è risultato nel tempo sempre più pregnante, trasformandosi da mera partecipazione agli organi collegiali ad autentica cooperazione alla progettualità e ai processi formativi.

E’ scaturito, quindi, l’obbligo per le istituzioni scolastiche di dare piena esecuzione alle disposizioni normative per introdurre nuove modalità organizzative atte a favorire un maggiore coinvolgimento dei genitori nella vita scolastica, investendoli della corresponsabilità educativa.

In particolare, secondo le Linee di indirizzo “Partecipazione dei genitori e corresponsabilità educativa” emanate dal MIUR, le  famiglie, in forma individuale o collettiva, potranno esercitare il loro ruolo propositivo ed esprimere le loro istanze, contribuendo significativamente e attivamente alla definizione dell’autonomia didattica e culturale della scuola.

In questa prospettiva metodologica dell’agire scolastico, la progettazione educativa può  quindi concretamente definirsi “partecipata” in quanto i soggetti che cooperano alla sua realizzazione sono coinvolti fin dalla fase iniziale.

Purtroppo, nel ddl 253/2017 non si vede  traccia della crescente attenzione del legislatore e del Ministero competente  nei confronti della salvaguardia della responsabilità educativa dei genitori nei confronti dei propri figli e della costruzione di alleanze educative fra scuola e famiglia ,soprattutto lì dove si prevede che la Regione  promuova, organizzi e sostenga attività di formazione e aggiornamento per gli insegnanti , per tutto il personale scolastico (…),per i genitori e per gli studenti, in materia di contrasto degli stereotipi di genere e di prevenzione del bullismo motivato dall’orientamento sessuale, dall’identità di genere o da una condizione intersessuale ( nn. 1 e 3 dell’artt. 3)

Chi dovrebbe  organizzare e portare avanti queste attività? In base a quali criteri saranno individuati Enti ed Associazioni  che dovranno proporre a docenti, genitori e ragazzi tali percorsi formativi? Quali contenuti saranno proposti? Qual è il ruolo propositivo ed in quale articolo del ddl viene prevista e valorizzata la partecipazione dei genitori  alla progettazione  ed alla verifica di tali attività formative?

Peraltro, anche entrando nel merito della tematica del ddl, sembra davvero difficile  poterlo inquadrare nella prospettiva delle Linee Guida Nazionali (art. 1 comma 16 L. 107/2015) “Educare al rispetto: per la parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione”, di recente emanate dal MIUR.

Esse affermano: “Nell’ ambito delle competenze che gli alunni devono acquisire, fondamentale aspetto riveste l’ educazione alla lotta ad ogni tipo di discriminazione e la promozione ad ogni livello del rispetto della persona e delle differenze senza alcuna discriminazione. Si ribadisce, quindi, che tra i diritti e i doveri e tra le conoscenze da trasmettere non rientrano in nessun modo né le “ ideologie gender” né l’ insegnamento di pratiche estranee al mondo educativo”.

Nel perseguire tali obiettivi, le Linee Guida ribadiscono l’ importanza del “Patto di Corresponsabilità educativa” tra genitori, studenti e scuola, ed affermano: ”..è compito fondamentale affidato ai genitori il partecipare e contribuire, insieme alla scuola, al percorso educativo e formativo dei propri figli esercitando il diritto-dovere contemplato nell’ art. 30 della Costituzione”.

Nell’ambito dello stesso Patto, inoltre, Associazioni dei genitori e MIUR  stanno definendo, le modalità con cui i genitori potranno intervenire nelle scelte delle attività extracurriculari dei loro figli:  impostazione fondamentalmente opposta a quella che vorrebbe gli stessi genitori fatti oggetto di una formazione decisa altrove ed imposta ad essi ed ai loro figli.

Pertanto, nel momento in cui è stata costruita , approvata e condivisa da tutte le componenti della scuola una cornice nazionale che , con prudenza e misura, affronta il tema della discriminazione di genere nelle scuole, non si vede perché la Regione Puglia intervenga autonomamente con una norma che introduce sottolineature  così diverse da quelle decise dal Ministero

 

Terminando l’analisi dell’art.3, il n. 5  si pone il problema di assicurare “ascolto e sostegno agli studenti e alle studentesse che, in ragione del loro orientamento sessuale, dell’identità di genere o delle condizioni intersessuali, siano vittime di discriminazione o violenza o che vivano condizioni personali che possano ostacolare il raggiungimento degli obiettivi accademici o del proprio percorso formativo, o che sperimentano difficoltà nei rapporti interpersonali e sociali” mediante  un servizio di counseling dell’ADISU.

Pur condividendo le finalità del n.5 dell’art.3, non si può non sottolineare in  proposito che la Letteratura scientifica relativa a questi temi non è concorde  in merito alla origine, alle cause ed alle modalità più opportune di accompagnamento e di sostegno ai ragazzi ed alle ragazze che vivono in modo distonico il loro orientamento sessuale. Ci sembra assolutamente indispensabile, quindi, l’invito alla prudenza ed all’abbandono di ogni approccio superficiale ed ideologico al tema.

Perplessità suscita anche il testo dell’art.5, che prevede ulteriori, analoghe attività formative nei confronti di operatrici e operatori dei servizi socio-sanitari e socio-assistenziali, valorizzando anche in questo caso esperienze e competenze maturate dalle organizzazioni operanti nell’ambito del contrasto alle forme di discriminazione e di violenza delle persone Lgbti. Basta questo per assicurare la validità di un intervento sul piano scientifico? Non è forse necessario assicurare, a maggior ragione negli interventi formativi, quel pluralismo culturale che garantisce la libertà di tutti?

Continuando nell’ esame dei vari articoli del DDL, si sottolinea che:

l’articolo 6, comma 4 , che prevede la possibilità della Regione di costituirsi “parte civile” nei procedimenti penali per reati commessi nei confronti delle persone  a motivo del loro orientamento sessuale, identità di genere o condizione intersessuale,  viola la norma dell’art.117Cost.,comma2,  che attribuisce la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di giurisdizione  e norme processuali.

A tal proposito, è opportuno ricordare la norma dell’ art. 74 c.p.p.(legittimazione all’ azione civile):”L’azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno di cui all’art. 185c. penale può essere esercitata nel processo penale dal soggetto al quale il reato ha recato danno ovvero dai suoi successori universali nei confronti dell’ imputato e del responsabile civile”.

Nel tempo sono stati legittimati a costituirsi parte civile  altri soggetti o categorie di soggetti, sempre con disposizioni contenute in  leggi statali.

Di conseguenza  una Regione  non può darsi da sola una tale legittimazione.

 

Profili di illegittimità sussistono anche riguardo all’ art.7.

L’articolo 7 prevede l’ istituzione di un “tavolo tecnico regionale” sulle discriminazioni e le violenze determinate dall’ orientamento sessuale o dall’ identità di genere delle vittime, la cui composizione (con ben 6 rappresentanti solo  delle associazioni LGBTI)esclude  la partecipazione di altre associazioni che si occupano di inclusione sociale  e che contribuirebbero senz’ altro ad una valutazione equilibrata delle ipotesi di discriminazioni.

Tale composizione , così  palesemente “parziale” , incorre nella violazione dell’articolo 97 della Costituzione, secondo comma, che prevede che:” I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’ amministrazione”.

Non si vede d’altro canto  il motivo della istituzione di un nuovo, siffatto Tavolo, che contraddice  l’orientamento espresso dalla stessa Regione mediante l’istituzione, sin dal luglio 2010, del Centro di Coordinamento Regionale contro tutte le discriminazioni, nato dalla sottoscrizione di un protocollo d’intesa tra Regione Puglia e UNAR del Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri  ed ispirato ad una considerazione  ampia ed unitaria della platea dei discriminati.

Infine, a proposito del l’articolo 8- Misure in materia di informazione e comunicazione, conviene ricordare l’ art. 12 del Testo Unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, n.177 del 31 luglio 2005:

“Le Regioni esercitano la potestà legislativa concorrente in materia di emittenza radiotelevisiva in ambito regionale  o provinciale , nel rispetto dei principi fondamentali contenuti nel Titolo I del T.U. suindicato”.

 L’art. 3 del T. U. detta i principi fondamentali, che qui di seguito si riportano:

“Sono principi fondamentali del sistema( dei servizi audiovisivi e della radiofonia) la garanzia della libertà e del pluralismo dei mezzi di comunicazione radiotelevisiva, la tutela della libertà di espressione di ogni individuo, inclusa la libertà di opinione e quella di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza limiti di frontiere, l’ obiettività, la completezza, la lealtà e l’ imparzialità dell’ informazione,l’ apertura alle diverse opinioni e tendenze politiche, sociali, culturali e religiose e la salvaguardia delle diversità etniche e del patrimonio culturale,artistico e ambientale, a livello nazionale e locale, nel rispetto delle libertà e dei diritti,in particolare della dignità della persona, della promozione e tutela del benessere,della salute e dell’armonico sviluppo fisico, psichico e morale del minore, garantiti dalla Costituzione, dal diritto (dell’ Unione Europea), dalle norme internazionali vigenti nell’ordinamento italiano e dalle leggi statali e regionali.

Pertanto, dato che già una legge statale indica così dettagliatamente  i  diritti da tutelare, si può concludere che la norma dell’ art. 8 del DDL in questione, attribuendo al CORECOM una funzione  di ulteriore monitoraggio dei contenuti della programmazione televisiva  e radiofonica regionale  e locale, nonché dei messaggi commerciali e pubblicitari,  rischia di incorrere in vari vizi di illegittimità, primo fra tutti la violazione  dell’ articolo 21 della Costituzione sulla “Libertà di Pensiero e di Parola”

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.”

 

Ed ancora, al comma2:

La Stampa  non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.

In conclusione, si può affermare che il DDL, dettato con la convinzione di attuare l’ autonomia legislativa della Regione, è viziato da un macroscopico “Eccesso di Potere “, che fa oltrepassare l’ambito della potestà legislativa regionale consentito dalla Carta Costituzionale e dalle Leggi Statali.

a cura dell’Ufficio Giuridico del Forum delle Associazioni Familiari di Puglia

 

Bari, 18.1.2018

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